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Senza voler indagare la storia più remota, che ha comunque lasciato tracce importanti sul territorio - si pensi ai primi insediamenti etruschi, di cui il «Lago degli Idoli» costituisce il più importante sito archeologico del nostro Appennino o, in epoca medievale, alle vie percorse dai pellegrini - specialmente tedeschi - che attraversavano il crinale per il Passo Serra, per il Casentino e poi per Roma – possiamo comunque dire che una buona parte del territorio del parco è stato sottoposto a gestioni unitarie di lunga durata, il che ha costituito probabilmente la fortuna delle nostre foreste. Terminata l’epoca feudale, con alcune grandi famiglie comitali come i Guidi, e la presenza di forti entità religiose e amministrative come Camaldoli, in seguito alle numerose vicende storiche che sconvolsero l’Italia intera fu la volta del dominio fiorentino, la Repubblica e la Signoria che gestirono in modo lungimirante, attraverso la laica Opera del Duomo di Firenze, fino ad arrivare all’epoca granducale e alla costituzione del Regno d’Italia, durante il quale anche il versante romagnolo del parco continuò ad essere parte della Toscana. Questo lembo di Appennino ha colpito e suggestionato nei secoli santi (Ellero, Romualdo, Francesco e Pier Damiani ne fecero il loro luogo di meditazione), scrittori, pittori e artisti in genere. Tra i più illustri visitatori che il parco annovera c’è senz’altro Dante, il quale rimase particolarmente colpito dalla cascata dell’Acquacheta che celebrò in un canto dell’Inferno. In epoca moderna Dino Campana, una voce originale nella poesia del ‘900, ha raccontato nei «Canti orfici» il suo viaggio a piedi da Marradi a La Verna. Tanti sono stati anche i pittori (da Mazzuoli e Fedi, autori di splendide vedute settecentesche, a Marchini, Lega fino ad alcuni illustri contemporanei) che hanno ritratto le nostre foreste, così come i viaggiatori stranieri che, in epoche in cui il viaggio era considerato un’esperienza di vita irrinunciabile, si sono innamorati del Casentino e delle sue ricchezze artistiche e storiche, delle foreste e degli eremi che vi sono incastonati, della maestosità del paesaggio.

Riscoperta della storia e della cultura della Romagna-Toscana

Le testimonianze letterarie, artistiche, architettoniche e materiali della civiltà di questo territorio sono una grande ricchezza, così come in altro ambito la biodiversità. Nonostante l’annoso problema della viabilità fra Romagna e Toscana e la marginalità della zona, questo tratto appenninico è stato nei secoli un importante punto di contatto tra diverse aree culturali, che qui si sono incontrate, utilizzando i valichi naturali che tagliano la dorsale appenninica. Dunque, storicamente gli scambi commerciali e culturali erano forti, anche in considerazione del fatto che la Romagna ha fatto parte, dal punto di vista amministrativo, della Toscana per quasi 500 anni. Va infatti ricordato che, dalla metà del ‘400 fino all’avvento del Fascismo, la parte medio-alta delle vallate romagnole, con l’eccezione della valle del Montone dove si arrivava addirittura alle porte di Forlì, apparteneva amministrativamente alla Toscana, con ovvie conseguenze sulla cultura, sulla lingua, sull’arte, sulla cucina e perfino sul dialetto di queste terre di confine. Questo angolo di Romagna, che gli stessi granduchi chiamavano appunto Romagna toscana non sentendola forse loro come altre parti del Granducato, ebbe quindi per lungo tempo rapporti particolari con la Toscana, pur essendoci fra le due terre una barriera naturale come la dorsale appenninica. Questi rapporti si erano un po’ rarefatti nel corso del XX secolo e probabilmente il parco ha avuto anche il merito di riscoprire questi legami culturali, fatti di matrici comuni pur con caratteristiche differenti, che si stavano perdendo e di ridare unità amministrativa ai due territori.

La cultura materiale

Il territorio è costellato di segni della presenza umana, che vanno da elementi di interesse artistico e monumentale a oggetti artigianali o di semplice uso quotidiano. Tutti questi segni, in un modo o nell’altro, ci parlano di un mondo e di una cultura scomparsi, ma non per questo sono morti o degni di essere dimenticati. Insomma, la presenza di un borgo, di un semplice casolare, di un tac arcabio1.pngopificio sono la testimonianza concreta del rapporto che l’uomo aveva instaurato con il territorio e con la natura. Del resto, tra le finalità delle aree protette c’è anche la salvaguardia dei valori archeologici, storici e architettonici, per integrare l’uomo e l’ambiente naturale, il che è particolarmente valido in un territorio come quello del parco, dove il legame tra l’uomo e la natura ha origini antichissime, ed è perdurato fino a pochi decenni fa senza grandi differenze dal passato più lontano. In quest’ottica si concepisce il valore, per esempio, dei vecchi manufatti, come ponti, maestà, ecc. e l’importanza del loro recupero, poiché non servono solo a rendere più fruibile e bello il territorio, ma ci raccontano un modo di vivere nella natura e con la natura che costituisce una grande ricchezza culturale da salvaguardare.

Religione e ambiente

Il parco ha al suo interno due luoghi straordinariamente importanti e affascinanti dal punto di vista spirituale e storico: l’Eremo di Camaldoli, fondato nel 1012 da San Romualdo, che scelse questo luogo splendido circondato da folte selve di abeti come luogo di ritiro e meditazione, riconoscendo alla cura del bosco un’importanza tale da divenire parte della regola dell’ordine; il Santuario della Verna, costruito sulla montagna che San Francesco ricevette in dono nel 1213 per farne un luogo di eremitaggio, che domina impressionanti strapiombi e balze rocciose da un lato e, dall’altro, è protetto dalla secolare selva di abeti e faggi conservata intatta per quasi otto secoli dai francescani. La presenza di queste comunità arricchisce indubbiamente il nostro parco, rendendolo unico nel panorama nazionale e testimoniando fisicamente come può l’uomo vivere in armonia con la natura.