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Continua il nostro viaggio immaginario nella natura del Parco in attesa di tornare  a goderla dal vivo…#IORESTOACASA

Con l’inizio della primavera, alle latitudini temperate, la natura comincia a destarsi  dal lungo sonno invernale e tra i primi animali in grado di sfruttare la fine del  gelo ci sono senz’altro gli anfibi. Appartengono ad un gruppo molto antico: sono stati i primi vertebrati terrestri, da cui discendono tutti gli altri vertebrati (compreso l’uomo),  dotati di quattro arti, in grado colonizzare le terre emerse, già a partire da oltre 350 milioni di anni fa, nel Devoniano.

Sopravvissuti a milioni di anni di trasformazioni naturali avvenute nella lunga storia della Terra, gli anfibi, oggi, costituiscono purtroppo uno dei gruppi animali con il numero più alto di specie a rischio di estinzione; sono infatti quasi 3000 (su circa 7000 specie totali) quelle minacciate a causa delle attività umane, tra cui la distruzione delle foreste, l’inquinamento da parte delle sostanze chimiche usate in agricoltura e il riscaldamento climatico globale che sta portando a una forte diminuzione delle risorse idriche. Sì perché questi animali sono terrestri allo stadio adulto ma una volta all’anno, proprio in primavera, si ritrovano, per la riproduzione, in vari ambienti di acqua dolce (stagni, abbeveratoi, ruscelli, laghetti e così via). Qui le femmine, dopo l’accoppiamento, depositano le loro uova o le loro larve e i nuovi nati (girini nel caso degli anuri o larve nel caso degli urodeli)  vi trascorreranno la prima parte della loro vita, fino a raggiungere la metamorfosi, che li trasformerà in anfibi adulti.

I Parchi Nazionali e le Riserve Naturali, grazie ai divieti e al regolamento delle attività umane, sono oggi tra i pochi “serbatoi” di biodiversità che ospitano ancora ricche popolazioni di anfibi e il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna ne è un ottimo esempio.

La prima specie ad uscire dalla quiescenza è la rana temporaria (Rana temporaria), una specie in Italia prettamente montana, che si trova solo su Alpi e Appennino settentrionale. Essa non teme le temperature fredde invernali e, già in marzo, con due o tre gradi, gli adulti si raggruppano fino a centinaia, nei siti più grandi, di solito rappresentati da stagni e acquitrini temporanei, per riprodursi. Nel Parco è una specie in espansione e sono oggi presenti popolazioni abbondanti che, localmente, sono minacciate dalla predazione di una specie esotica, sbadatamente sfuggita da un centro di allevamento di fauna, e purtroppo recentemente insediata, il procione (Procyon lotor). Segue quindi la rana dalmatina (Rana dalmatina) che ha abitudini simili ma, rispetto alla specie precedente predilige zone collinari, dove utilizza per deporre i suoi grandi ammassi di uova, pozze d’abbeverata, acquitrini, vasche ma anche tratti calmi di ruscelli. Un tempo conosciuta come rana agile, ha zampe posteriori lunghe e potenti, che le permettono di compiere balzi lunghi fino a 2 m! Il rospo comune, dal canto suo, comincia il corteggiamento fuori dall’acqua col maschio che cinge forte alle ascelle la femmina, che poi se lo porta sul dorso in un laghetto, dove depone fino a 10000 uova, prontamente fecondate dal maschio, in lunghi cordoni gelatinosi che attacca a qualsiasi appiglio sommerso.  Anche i tritoni non si fanno attendere troppo a lungo e tra marzo e aprile, eccoli nuotare nelle acque calme di stagni e abbeveratoi. Il tritone punteggiato (Lissotriton vulgaris) è il più piccolo, raggiungendo al massimo 11 cm; le parti ventrali sono gialle o arancio tenue chiazzate con macchie rotondeggianti nere. Il tritone alpestre (Ichtyosaura alpestris), lungo sino a 13 cm, è il più elegante: il maschio ha una livrea bellissima con i fianchi e il dorso azzurri adornati sulla cresta dorsale e nella parte bassa da una striscia argentea con punti neri, mentre il ventre è arancio carico senza macchie. Il tritone crestato italiano (Triturus carnifex) è il più grande, con la femmina che può arrivare a 21 cm, mentre il maschio esibisce una favolosa cresta dentellata dorsale e una fascia color seta nella coda, con il ventre giallo o arancio carico con chiazze nere grandi e di forma irregolare. I tritoni non sono frequenti nel Parco, ma  alcuni siti ospitano popolazioni numerose di tutte e tre le specie. Prima della riproduzione, i tritoni si impegnano in un lungo corteggiamento, col maschio che si pone di fronte alla femmina e, ondulando la coda, crea un flusso di acqua che porta alle narici della femmina i feromoni secreti da ghiandole nella cloaca. Alla fine, se la femmina accetta il maschio, avviene la fecondazione, dopodiché la femmina si dedica con maestria a deporre le uova ad una ad una, attaccandole nell’incavo di una foglia della vegetazione sommersa. Nelle acque turbolente e ben ossigenate di torrenti e ruscelli la prima specie ad uscire è la rana appenninica (Rana italica), endemica dell’Italia peninsulare, abile nuotatrice che depone i suoi piccoli ammassi di uova attaccandoli negli anfratti rocciosi della riva o sotto ai massi; spesso convive con la salamandrina di Savi (Salamandrina perspicillata), anch’essa endemica della penisola italiana, caratterizzata da una livrea nera con una macchia beige a forma di V rovesciata presente sulla testa a congiungere gli occhi, per questo conosciuta anche col nome di salamandrina dagli occhiali. Nei torrenti è presente un’altra specie, la salamandra pezzata (Salamandra salamandra) bellissima colla sua livrea nero pece costellata di macchie irregolari giallo carico che la rendono inconfondibile. Queste ultime due specie sono due formidabili indicatori ambientali: vivono di preferenza in boschi maturi, ben strutturati, caratterizzati da una ricca e fertile lettiera dove vivono le loro prede, gli invertebrati, e inoltre si riproducono in torrenti e ruscelli collinari e montani contraddistinti da acque limpide, non inquinate e assenza di pesci. Negli anfratti rocciosi si sveglia anche il geotritone italiano; endemico dell’Appennino settentrionale e centrale, passa gran parte della sua vita a muoversi letteralmente di soppiatto nelle piccole fessure degli affioramenti rocciosi o nelle grotte, per poi uscire, nelle primavere piovose all’esterno per procacciarsi un abbondante pasto di invertebrati Le ultime specie ad uscire dalla quiescenza sono le rane verdi e, infine, l’ululone appenninico, in aprile-maggio. Le prime, legate al clima mite delle quote planiziali e collinari, sono ancora abbastanza frequenti in Italia e vivono in qualsiasi tipo di corpo idrico dove in estate gracidano placidamente. L’ululone appenninico, infine, che si chiama così per l’onomatopea del richiamo del maschio, un uh-uh-uh sommesso e melanconico, è endemico dell’Italia peninsulare appenninica. Esso utilizza per la riproduzione piccole pozze ben esposte in acquitrini, vasche e ruscelli dove si può riprodurre anche due o tre volte durante tutta l’estate. Nonostante questo, purtroppo è probabilmente una delle specie di anfibi più a rischio di estinzione in Italia; un tempo piuttosto diffuso nelle zone collinari e submontane, è oggi ridotto a popolazioni piuttosto esigue e spesso isolate. Il Parco spita nel suo complesso una popolazione piuttosto importante e per favorire la sua conservazione, si sta impegnando negli ultimi anni a realizzare il progetto LIFE WetFlyAmphibia.

Di Sandro Piazzini, Naturalista collaboratore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi

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