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Veglie, balli campestri e altre occasioni di incontro e divertimento

La vita sulle nostre montagne era impegnativa per chi doveva mettere insieme il pranzo con la cena arrangiandosi a fare di tutto, dal contadino all’allevatore, dal taglialegna al muratore. Uno dei rari svaghi concessi a chi aveva ben poco tempo da dedicarvi, era durante le ore serali e consisteva soprattutto nell’andare “a veglia” in qualche casa vicina. Questo, assieme alla messa della domenica (che riuniva la comunità di una valle), rappresentava un importante momento di socialità, riposo e, per i giovani in età giusta, occasione di corteggiamento con le coetanee. 

I momenti di veglia erano anche l’occasione per liberare la fantasia in racconti d’ogni tipo; proverbi e indovinelli, racconti divertenti e a volte paurosi che davano corpo a ogni ombra, voce e rumore percepiti durante le ore serali e notturne. Era anche il momento degli anziani, delle previsioni sul raccolto o sulla durata dell’inverno, basate magari su tradizioni antiche e sull’osservazione dei fenomeni naturali. Tutti questi erano comunque metodi molto efficaci per trasmettere oralmente la saggezza popolare alle nuove generazioni.

Altre occasioni di ritrovo erano le feste patronali, le fiere e i matrimoni, o le feste per la fine dei raccolti e le vendemmie in cui spesso dalle case vicine ci si aiutava a vicenda sia per la manovalanza che per il prestito di macchinari.

Nelle serate trascorse “a trebbo” -nelle stalle d’inverno- o all’osteria, le piccole comunità rurali e paesane per godere maggiormente il piacere della compagnia intonavano “le cante”, più che altro poesie dialettali che servivano per consolidare un’appartenenza locale (esempio ne è la famosa “Pia dei Tolomei”) oppure le feste erano spesso l’occasione per fare “quattro salti”: i balli più popolari erano il trescone e la manfrina e si ballavano nelle piazze, nei cortili e nelle aie.

Per i più piccoli, spesso il momento dei giochi e della socialità coincideva con il tragitto verso e dalla scuola, in cui si scherzava fra compagni, si rubavano i giovani tralci alle vigne per succhiarli, si giocava a piastre usando i sassi della strada o i propri bottoni; queste ore erano per loro l’occasione per esplorare l’ambiente naturale o per costruire una fionda dalla biforcazione di una sanguinella, un fuciletto a pressione dai rami cavi del sambuco o da un ramo di salice uno zufolo.  

Foto Archivio Storico del Dottor Torquato Nanni